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La Vestale

Dal 12 al 13 set 2007

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Presentazione

Incontro davvero entusiasmante quello fra il mondo dell'opera e il mondo delle marionette. Il discorrerne significa, inevitabilmente, ragionare su un grande arco di cultura che dalle lontane prime radici ci conduce sino al nostro tempo; non per pura e fredda passione filologica, né per nostalgica reminiscenza, ma solo per cogliere la smagliante freschezza di tale evento teatrale.
Fu la ricca e fastosa corte del principe Esterhàzy a vivere il primo incontro, geniale, senza alcun dubbio, per la presenza di Haydn, ma pur sempre accademico e virtuosistico perché frutto di una cultura che si rifaceva ad archetipi classicheggianti e perché destinato ad un uditorio che avrebbe vissuto, forse, soltanto la mondanità dell'evento ed il trastullo del gioco salottiero.
Né, all'epoca, le marionette potevano considerarsi, a buon diritto, un linguaggio espressivo o una forma teatrale. Al pari di stucchi dorati o di specchiere imponenti, esse erano retaggio di una condizione. Ma sul finire della prima metà dell'Ottocento e, in seguito, per tutto il secolo, quando le marionette dilagarono nelle campagne e nei piccoli centri, dopo aver abbandonato un repertorio legato alla episodicità di leggende a sfondo mitologico (ne è buon esempio Lo sternuto d'Ercole!), se da un lato incarnarono insieme la notizia, l'interpretazione storica, la critica, il giudizio degli eventi contemporanei, dall'altro furono l'unico afflato di un mondo musicale, quello del melodramma e del balletto, che giungeva a diversi strati sociali. Come a dire: il pensiero e l'azione o l'azione e il pensiero, con buona pace di Mazzini!
Un repertorio prevalentemente verdiano (e come pensare altrimenti!) a cui si affiancavano Cimarosa, Rossini, Mercadante, i fratelli Ricci e fra gli autori d'oltralpe Meyerbeer, Gounod, Offenbach e d'oltreoceano, Gomez.
E ci entusiasma sapere che fra i materiali musicali delle Compagnie a noi giunti esistano parti per orchestra e per banda a ricordarci come non tutte le "piazze" toccate dalle formazioni marionettistiche disponessero di tredici professori d'orchestra: tredici poiché tale era l'organico musicale. Un lavoro di riduzione e di trascrizione musicale, quindi, ed una perfetta conoscenza della partitura. E, ci sia concessa la retorica, uno sconfinato amore per la musica.
Ma se può intenerirci l'immagine di un piccolo palcoscenico animato da personaggi di legno, di tredici suonatori in buca, di quattro cantanti fra le quinte accanto ai marionettisti, certamente ci conforta l'idea che si trattasse di un'operazione teatrale nuova, autonoma, dove la presenza della marionette e dei suoi apparati scenotecnici, ove tutto è finzione (basti pensare alle scenografie dipinte su carta secondo i canoni prospettici del Rinascimento), si facesse strumento corposo e suggestivo di una realtà metafisica suggellata ed esaltata dal fluire delle note musicali.
Va da sé che, sul finire del secolo, la costruzione di un Teatro per le marionette a Milano, a pochi passi dal tempio del melodramma, unico esempio in tutta Europa di teatro stabile nell'arco della storia del teatro marionettistico, confermò e ratificò una sfida fra l'opera con i cantanti in carne ed ossa e l'opera con marionette poiché dal 1868 sulle tavole del Teatro Gerolamo apparvero i grandi melodrammi che avevano trionfato sul palcoscenico del Teatro alla Scala.
Continuava, così, in forma più consapevole, come si addice ad una grande città in fase di grande espansione, l'opera sociale e culturale che aveva , sino ad allora, interessato, il pubblico delle campagne e dei piccoli e piccolissimi centri della provincia lombarda e piemontese. Chi non poteva permettersi un posto alla Scala confidava nella certezza che le marionette sarebbero state le interpreti di questo o quel melodramma, o delle grandi azioni coreografiche che trionfavano sul grande palcoscenico come Le Vestali e Prometeo di Viganò, Excelsior, Pietro Micca, Sport e Amor di Manzotti. Si dava anche il caso che opere scomparse dal cartellone scaligero come Crispino e la comare, Chiara di Rosemberg e Guarany, tornassero a nuova vita e ad accoglienze addirittura trionfali.
Perché le marionette hanno sempre aggiunto un che di specifico alla operazione teatrale, così da trasformare ciò che all'apparenza sembra spettacolo con marionette in spettacolo di marionette.
Già, perché la tradizione marionettistica italiana, forse poco rispettosa verso i grandi compositori, ma certamente poeticamente viva e feconda nei confronti di un retaggio culturale e di una missione sociale (fortunatamente paroloni ignoti a quei bravi artigiani) non avrebbe potuto limitare la creatività nel sostituire le marionette ai cantanti, processo poco artistico, in verità, e, soprattutto, poco teatrale.
Così nascono le riduzioni dei grandi melodrammi preromantici in cui si alternano parti recitate e parti cantate o gli stravolgimenti di finali tragici che si trasformano in lieto fine con amanti che fuggono su fragili imbarcazioni o in groppa a bianchi destrieri.
Anche il personaggio maschera, Facanapa o Gerolamo che sia, viene calato in auliche e drammatiche vicende che lo vedono espletare nobilmente la sia funzione di deus ex machina.
Ingenuo senso del comico, certamente, a prima vista, ma sottile e stimolante intervento dell'uomo della strada (cosa altro erano i marionettisti?) ad eroiche, guerresche e altisonanti vicende, in cui molto spesso si mescolavano caustici commenti e giudizi, non sempre tranquillizzanti, su eventi sociali e bellici contemporanei di cui spettatori e marionettisti erano involontari interpreti.
Quanto lontana l'antica origine salottiera delle marionette! E quanta assurdità nel voler considerare questi attori di legno "teatro aristocratico"! Possiamo, senza alcun dubbio, affermare che dalla seconda metà dell'Ottocento sino al primo triennio del Novecento fu soltanto il teatro delle marionette ad accogliere e a tenere desti fervori ed aspirazioni socio-politiche che tanto avevano accompagnato la vita del melodramma italiano.
Mentre le piccole compagnie itineranti limitavano le rappresentazioni ai drammoni o alle vite dei Santi per accontentare i palati del pubblico delle campagne, le grandi formazioni stabili e non, sempre alla ricerca di un repertorio non facile, indirizzandosi verso eventi teatrali in palese concorrenza con i grandi teatri d'opera quali il Regio di Torino, il Regio di Parma, la Scala di Milano, non tralasciarono di parlare delle imprese coloniali, degli scioperi, della guerra di Libia, delle guerre mondiali, del fascismo, dei patti Lateranensi, ammiccando alle partiture degli illustri compositori.
Soltanto il repertorio verista non trovò spazio tra le teste di legno forse perché troppo lontano da quei simbolismi e da quelle allegorie così care al mondo marionettistico o, forse, perché troppo vicino alla rappresentazione dell'uomo e dei suoi sentimenti e così lontano dalla magia dei personaggi di legno.
Soltanto più tardi, in un momento di grandi trasformazioni musicali autori come Manuel De Falla e Erik Satie vollero le marionette interpreti di El Retablo de Maese Pedro e di Geneviève de Brabant in un contesto che, seppur salottiero come poteva essere il suggerimento della moda del tempo, affrontavano i grandi temi della cavalleria e delle leggende religiose, della lotta contro gli infedeli e della grande illusione amorosa quasi a volerci indicare come in quel teatro in miniatura potessero ancora sopravvivere i sogni e le passioni del cuore ancora fanciullo, nella stessa concezione di tradizione scenica e musicale.

Eugenio Monti Colla

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Locandina

riduzione per marionette del dramma lirico di Victor-Joseph-Étienne de Jouy

a cura di Eugenio Monti Colla

musica

Gaspare Spontini

scene

del repertorio storico della Compagnia

costumi

Eugenio Monti Colla

i marionettisti

Carlo III Colla, Eugenio Monti Colla, Franco Citterio, Maria Grazia Citterio, Piero Corbella, Debora Coviello, Cecilia Di Marco, Egon Gorghetto, Mariapia Lanino, Tiziano Marcolegio, Sheila Perego, Giampiero Schiavi, Giovanni Schiavolin

direzione all'allestimento

Carlo III Colla

luci

Franco Citterio

direzione tecnica

Tiziano Marcolegio

regia

Eugenio Monti Colla

produzione

ASSOCIAZIONE GRUPPORIANI – MILANO

Comune di Milano - Teatro Convenzionato