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Il Guarany

Dal 16 mar al 03 apr 2009

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Presentazione

1. La versione operistica

Il 19 marzo 1870 fu eseguita per la prima volta alla Scala di Milano un’opera di un compositore fino ad allora del tutto sconosciuto: “Il Guarany” del brasiliano Carlos Gomes. Il successo fu sensazionale. Arrigo Boito, il cui “Mefistofele” era stato fischiato proprio alla Scala due anni prima, paragonò l’opera di questo giovane compositore venuto dal “nuovo mondo” alle opere di Verdi. Lo stesso Verdi giudicò in modo positivo “Il Guarany” e definì Gomes un “vero genio musicale”. Le successive opere di Gomes, composte per la Scala (“Fosca”, “Maria Tudor” e “Condor”) non ebbero neanche lontanamente il successo del “Guarany”, che rimane una pietra miliare nella storia della musica e del teatro del Brasile.

Gli elementi caratterizzanti la musica popolare brasiliana sono tre: un elemento indigeno, uno africano e uno portoghese. I portoghesi arrivarono dall’Europa con il folklore e la musica colta del loro paese; i neri d’Africa, arrivati in Brasile come schiavi, portarono con sé la loro musica etnica; inoltre le culture musicali indigene erano numerose.
Nel Settecento Antonio Josè da Silva fece in Brasile il primo tentativo di fusione fra temi musicali indigeni e musica colta, costruita su modelli europei. I cori e le orchestre nati a Rio de Janeiro e San Paolo in quegli anni cantavano e suonavano alla maniera del “vecchio mondo” ed eseguivano già allora le opere italiane.
Quando, dopo l’invasione dei francesi guidati da Napoleone in Spagna e Portogallo, la famiglia reale di Lisbona si rifugiò in Brasile (ancora una colonia portoghese), la vita culturale brasiliana ebbe un notevole sviluppo. I reali infatti dedicarono particolare attenzione alla musica operistica e a Rio le opere in stile italiano, messe in scena soprattutto al Teatro Regio S. Joao, facevano furore.
Dopo il ritorno del Re a Lisbona, per qualche anno le attività culturali brasiliane subirono un rallentamento. Nel 1821 il Brasile proclamò la propria indipendenza dal Portogallo ed elesse Pedro I imperatore. Finalmente la vita musicale ebbe nuovi impulsi. Pedro II, il suo successore, fu un grande sostenitore dell’opera, allestita non più solo a Rio, ma anche in altre città, come per esempio San Paolo.
Il 1857 è un anno particolarmente importante. A Rio infatti furono fondate un’Accademia Musicale Imperiale e l’Opera Nacional. Compositore di spicco dell’Opera Nacional era Carlos Gomes, l’unico autore brasiliano dell’Ottocento che abbia avuto successo all’estero.
Antônio Carlo Gomes nacque in Brasile l’11 luglio 1836 a Campinas, una cittadina a nord di San Paolo. Sua zia Joaquina era cantante ed il fratello maggiore direttore d’opera. Gomes iniziò gli studi musicali con il padre, maestro di cappella a Campinas. A diciotto anni ebbe la fortuna che una sua Messa venne eseguita. A diciannove anni debuttò come pianista. In seguito portò a termine gli studi al Conservatorio di Rio de Janeiro. Nel 1861 l’opera “A noite do castelo” ebbe grande successo all’Opera Nacional di Rio. Nel 1863 fu eseguita, sempre a Rio, la sua seconda opera “Joana de Flandres”. L’imperatore Pedro II, un sovrano liberale e aperto alle arti, riconobbe lo straordinario talento di Carlo Gomes; gli conferì il titolo di “Cavalliero da Orden do Rosa” e gli offrì la possibilità di studiare in Italia, la mecca degli operisti di allora. Dal 1864 al 1866 Gomes studiò al Conservatorio di Milano sotto la guida del compositore Lauro Rossi.
”Il Guarany”, la prima opera composta in Europa, gli procurò un successo eccezionale. I librettisti, Antonio Enrico Scalvini e Carlo d’Ormeville, si ispirarono a “O Guarani”, un romanzo del letterato brasiliano José Martiniano de Alecar la cui lettura aveva talmente entusiasmato Gomes (un suo antenato spagnolo aveva sposato un’indigena della tribù dei Guaranì) da fargli immediatamente commissionare l’elaborazione del libretto. La prima dell’opera, il 19 marzo 1870 alla Scala, fu festeggiata da un pubblico entusiasta. L’opera fu replicata a Milano ben dodici volte e, ripresa nel 1871 leggermente modificata, fu eseguita addirittura quindici volte. Alla prima del “Guarany” presero parte cantanti di primordine come per esempio i baritoni Enrico Storti e Victor Manuel, più tardi l’interprete di Jago per Giuseppe Verdi.
Dopo il trionfo milanese Gomes si recò a Rio per presenziare alla prima brasiliana dell’opera, nel dicembre del 1870, presentata con il titolo “O Guarani”, ritornando quindi a Milano.
Oggi la memoria di Gomes, un compositore di successo più giovane ma contemporaneo di verdi, viene tenuta viva con le rappresentazioni delle sue opere in Brasile. “O Guarani” è tuttora l’opera nazionale brasiliana, e per il Brasile quello che possono essere le opere dio Glinka per la Russia, le opere di Smetana per la Cecoslovacchia, le opere di Erkel per l’Ungheria e “Il franco cacciatore” di Weber per la Germania.

La vicenda del “Guarany” si svolge intorno al 1560 nei pressi di Rio de Janeiro. E’ difficile dare una visione generale dell’opera; numerose sono le vicende che si intrecciano. Al centro troviamo la coppia composta da Cecilia (soprano), la figlia di Hidalgo portoghese e Pery (tenore), capo della tribù indigena dei Guaranì. L’eroe del titolo, Pery, è il prototipo del “selvaggio nobile”. Egli vive in armonia con i bianchi, nonostante abbiano invaso la sua terra. A questa figura nobile l’autore del libretto contrappone la tribù indigena degli Aimorè, barbari che vivono come cannibali sacrificando vite umane. Pery e Cecilia vengono catturati dagli Aimorè che si preparano a mangiarli. Per fortuna i bianchi riescono a salvarli in tempo.
Gli autori del libretto cercano di evitare di assegnare delle colpe; ci sono buoni e cattivi sia tra gli indigeni che tra i bianchi. Per esempio Gonzales (baritono), un avventuriero bianco che rapisce Cecilia per appropriarsi delle miniere d’argento del padre di lei, Don Antonio, è un farabutto.
L’effetto scenico della distruzione del castello di Antonio con fiaccole e torce alla fine dell’ultimo atto ricorda il grand-opéra francese, in particolar modo “Le prophète” di Meyerbeer. Probabilmente Gomes aveva in mente una sintesi tra elementi stilistici del bel canto italiano e il gran-opéra francese. I riferimenti sono evidenti anche nella strumentazione spettacolare che ricorda Auber e Meyerbeer. Per quanto riguarda il modo di costruire le melodie si intravvedono delle somiglianze con le prime opere di Verdi e non con la raffinatezza dell’ultimo Verdi dell’”Aida” composta più o meno negli stessi anni del “Guarany”.
In ogni caso le due opere sono ispirate dall’amore per un certo esotismo che, però, si manifesta in modo diverso in ognuna di esse. Da Félicien David in poi nell’Ottocento era uso corrente dare alle opere un “couleur locale authentique”, utilizzando temi originali di paesi “esotici” o perlomeno citazioni musicali a suggerire con effetti strumentali particolari un non so che di esotico ed orientaleggiante come per esempio nell’”Africana” di Meyerbeer, “I pescatori di perle” e nell’opera in un atto “Djamileh” di Bizet. Il massimo però lo raggiunge Puccini con “Madama Butterfly” e “Turandot” e, alla fine dell’Ottocento, Léo Delibes con “Lakmé”. Ma Gomes, al contrario di tanti compositori suoi contemporanei, rinuncia nel “Guarany” a caratterizzare in modo specifico l’ambientazione indigena. I bianchi e gli indigeni cantano in modo uguale, rifacendosi allo stile tradizionale dell’opera italiana. Dominano amore, odio, passioni e dispute guerresche.
Analogamente Verdi nel “Trovatore” o “La forza del destino”, non si lascia trascinare da questa moda e non sottolinea con mezzi stilistici particolari l’ambientazione spagnola delle vicende.
Nelle opere “Il Guarany” e “Lo Schiavo” si riassume la storia brasiliana dell’Ottocento. Il “capitalista” Don Antonio si preoccupa delle sue miniere d’argento e cerca per sua figlia Cecilia un marito ricco. Tra gli attori troviamo anche degli avventurieri bianchi che vogliono arricchirsi nella foresta alle spalle degli indigeni e che non si fermano neanche davanti ad azioni illegali. Dall’altro lato troviamo gli indigeni, i cui diritti sono stati calpestati. Il matrimonio tra Perry, un indio, e Cecilia, la figlia di un imprenditore, appare un’utopia.

2. La versione marionettistica

“Il Guarany” entra nel repertorio del teatro marionettistico pochi anni dopo il successo ottenuto sul palcoscenico del Teatro alla Scala nel 1870. Dalla formazione di Antonio Colla (primo della stirpe a porre piede al Teatro Gerolamo di Milano nel 1885), lo spettacolo passa in seguito nel repertorio della Compagnia Carlo Colla e Figli (approdata al teatrino di Piazza Beccaria nel 1906 ed ivi rimasta stabilmente sino al 1957) che ne cura diverse edizioni sino al 1939, quando la censura del regime ne proibisce le rappresentazioni in ottemperanza alle leggi razziali.
Lo spettacolo segue fedelmente la trama del libretto dello Scalvini accentuandone, però, l’aspetto epico-avventuroso ed evitandone alcuni luoghi comuni poco idonei al “linguaggio” marionettistico ed all’azione teatrale che nelle marionette è susseguirsi serrato di recitazione e di movimento di massa. Risultano evidentemente privilegiate le grandi scene del ritorno dei cacciatori e della preghiera nell’atto primo, la caserma degli avventurieri nell’atto secondo, l’accampamento degli Aimorè nell’atto terzo, il crollo del castello nella scena finale dell’atto quarto. Ai recitativi è stato sostituito un dialogo che accentua l’aspetto esotico avventuroso della trama, nel rispetto del “recitare ottocentesco”, e che rende più evidenti alcuni caratteri dei personaggi che nel testo originale seguono pedissequamente alcune tipologie tradizionali del melodramma (vedasi l’entrata del soprano seguita dalle damigelle nell’atto primo, la scena della seduzione e il finale nell’atto secondo). A rendere più evidente il pathos dell’azione, il testo per marionette ha introdotto altri personaggi il cui scopo è solo quello di vivacizzare alcuni momenti dell'azione: un servo portoghese (un tempo interpretato dalla “maschera” Gerolamo), la governante di Cecilia, la zingara. Al gioco teatrale evidente nella presenza di due servi (per i quali è inevitabile il lieto fine) si è affiancata l’immagine della gitana complice degli avventurieri, controcanto alla purezza e alla dolcezza della protagonista, reminiscenza della Preziosilla verdiana o delle gitane di Bizet.
Lo spettacolo viene riallestito nel 2003 e presentato nella stagione del Piccolo Teatro di Milano, al Teatro Ponchielli di Cremona e al Festival dei Due Mondi di Spoleto. Viene ripreso nel 2009 nella stagione dell’Atelier Carlo Colla e Figli di Milano.

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Locandina

riduzione per marionette dal romanzo di Josè di Alencar

a cura di Carlo II Colla ed Eugenio Monti Colla

musica

Carlos Gomes

scene

Scene del repertorio storico di Achille Lualdi

Nuove scenografie di Franco Citterio

Assistente alla scenografia Cecilia di Marco

costumi

Carlo II Colla

nuovi costumi

Eugenio Monti Colla e Cecilia di Marco, realizzati dal laboratorio di sartoria dell'Associazione Grupporiani

i marionettisti

Franco Citterio, Maria Grazia Citterio, Piero Corbella, Camillo Cosulich, Debora Coviello, Carlo Decio, Cecilia Di Marco, Tiziano Marcolegio, Pietro Monti, Giovanni Schiavolin, Paolo Sette

voci recitanti

Loredana Alfieri, Tommaso Amadio, Marco Balbi, Fabrizio De Giovanni, Lisa Mazzotti, Adele Pellegatta, Gianni Quillico, Ernesto Rossi, Franco Sangermano

direzione tecnica

Tiziano Marcolegio

regia

Eugenio Monti Colla

produzione

ASSOCIAZIONE GRUPPORIANI - Milano

Comune di Milano - Teatro Convenzionato